Più di un anno è ormai passato da quando il nostro aereo è atterrato a Cuba. Eppure, chiudendo gli occhi, immediatamente riesco a rievocare l’odore di La Havana: quell’acre e pesante umidità che non solo ti impregna l’olfatto ma ti si appiccica sulla pelle e sui vestiti e non se ne va più via.
Anche per questo risulta irrazionale il fascino che la città ha esercitato su di noi. Magnetica, irresistibile, decadente: sono solo alcune fra le parole che mi vengono in mente per descrivere la capitale cubana, prima tappa del nostro viaggio.
A passo concitato fra le sue strade inenarrabili, iniziavamo il nostro viaggio alla ricerca di risposte a molte delle domande che negli ultimi tempi echeggiavano fra i nostri pensieri. Cos’è il merito? Cosa sono le opportunità? Quanto siamo stati corrotti da un perenne clima di competizione? Quali alternative esistono?
Vero è che non è facile ricevere risposte univoche da una città, ancor meno da un popolo. Tuttavia, la travolgente cordialità degli habaneros e degli abitanti di tutti i luoghi che abbiamo visitato nel corso del nostro cammino ci ha aiutati a comporre un puzzle di mille opinioni, sentimenti, idee riguardo la vita a Cuba.
L’immagine finale che ci si è mostrata racconta dell’essenza di Cuba: un paradosso temporale, una storia di miti eroici e di aspettative mortificate, di desideri antitetici, di sguardi che modellano la realtà.
Un paese che, dalla Rivoluzione ispirata dal movimento del 26 de Julio nel 1953 e finalmente riuscita a uscire vincitrice dal conflitto con Batista nel 1959, ha incarnato uno dei rari esperimenti nel mondo rivolti verso un modello socialista. Sotto la guida di Fidel Castro prima e del fratello Raul poi, Cuba ha adottato un modello economico in cui ogni transazione, scambio o processo produttivo viene intermediato dallo Stato. Un modello appoggiato fortemente dall’Unione Sovietica fino alla caduta del muro di Berlino e da sempre combattuto dagli Stati Uniti. Un modello che, rigettando le regole dell’economia di mercato e scrivendo un nuovo capitolo della storia economica in chiave marxista, ha dato vita a un mondo, quello cubano, unico e, per molti versi, indecifrabile.
Il mondo cubano, ancora oggi sottoposto a drastiche revisioni, si presenta diversamente agli occhi di chi lo ha visto nascere e svilupparsi rispetto a quelli di chi lo ha conosciuto in fase avanzata, e tale differenza di vedute si ribalta diametralmente fra cubani e stranieri.
Il cubano rivoluzionario, combattente o non, con viva memoria del governo di Batista e della promessa fidelista, ancora incarna i propositi e gli ideali che hanno ispirato e spinto alla rivolta. Ecco allora che dalla sua bocca sgorgano parole intrise di socialismo, senso di comunità, antistatunitensismo, speranza, orgoglio. Parole che rimescolate potrebbero dare forma a canzoni partigiane, inni popolari, ma che ancora vivono in un tempo sufficientemente vicino da poter essere toccate con le proprie mani.
Vi è, però, chi la rivoluzione cubana l’ha vista da lontano, senza poterne prendere parte, affidando ad essa aspettative e responsabilità. Per costoro, oggi, la delusione è cocente. La Cuba che sognavano è rimasta un’immagine sfocata nel loro passato, una promessa bellissima, ma disattesa. E allora c’è affetto e amicizia nel parlare del popolo cubano, del suo paese e della sua storia; c’è un’attrazione inspiegabile verso quel mondo relegato in una dimensione lontana e intangibile.
Vi sono poi i giovani cubani, coloro che hanno ereditato la rivoluzione e il governo castrista. Loro che sono nati in un mondo in cui è impossibile non alzare lo sguardo al di là del confine, benché vi sia il mare, e guardare ai coetanei delle altre parti del mondo. Per molti di loro il desiderio è raggiungerli o, quantomeno, avvicinarli, per godere pienamente con loro dei benefici di un’epoca che permette di connettersi, consumare, viaggiare.
E veniamo a noialtri, che di Cuba abbiamo letto sui libri di storia, che la abbiamo associata a film, magliette, volti. Per noi è un qualcosa di attuale e immanente, che da un momento all’altro potrebbe succedere, che vale la pena conoscere e vivere. Per noi può indicare una strada. Quale strada direte?
Una strada scoscesa, sterrata e tortuosa, che ancora non si sa dove porti, ma in cui le regole sono per noi innovative. Un modello in cui non sia il mercato a far da padrone e in cui sia intenzione del regolatore garantire l’accesso ai diritti e ai servizi essenziali. Ancor più, però, un modello che promuova mutualità e non competizione, attraverso mezzi istituzionali (l’università libera e la garanzia di un impiego statale), ma anche sfruttando quella che è la prassi della connessione materiale fra individui e della creazione di reti informali e solidali.
Tante Cuba sono uscite dal nostro itinerario, tante quante gli sguardi che possono essere rivolti verso quell’isola in conflitto con se stessa. Un conflitto che ci appartiene, benché spesso non ne siamo consapevoli, perché vede contrapposte la liberalizzazione dei mercati e la prosecuzione di una gestione centralizzata, la smania dei figli e la fiducia dei padri, il criterio di uguaglianza e quello di efficienza.
Il Rum, il Chè, i sigari, il Período Especial, le canne da zucchero, la riforma costituzionale, i bar di La Habana, le spiagge bianche, le cooperative, la musica; potremmo scrivere all’infinito, ma sarebbe troppo per questo, che è soltanto uno dei più fugaci e romantici fra gli infiniti sguardi che accarezzano Cuba.
Rocco Guevara
Quasi economista per sbaglio.
Mi piace vendermi come parente del Ché.
Scrivo soprattutto di cose brutte e noiose nella speranza che un giorno diventino belle e interessanti.