Fin dalla sua nascita, l’Unione Europea si è proposta di dare all’Europa un assetto di pace che impedisse il ritorno del fascismo.
O meglio, così è stato proposto a parole. Nei fatti, invece, ha deciso di schierarsi, nella guerra d’Ucraina che da più di cinque anni interessa l’Europa, al fianco di un governo nazionalista alleato di formazioni naziste armate. A questo governo si contrappongono le repubbliche di Doneck e Lugansk, che reclamano l’indipendenza e che sono russofone e culturalmente distinte. L’UE sostiene il governo di Kiev con ogni mezzo, coprendo le azioni delle bande naziste e assicurandogli appoggio diplomatico.
Questo è forse il più clamoroso esempio della complicità, anzi, della sottomissione, dei poteri europei al volere degli USA.
Vediamo perché.
L’OCCIDENTE E LA RUSSIA DI PUTIN
In seguito alla fine dell’URSS, i rapporti tra i Paesi dell’ex blocco occidentale e la nuova federazione russa sono stati per lungo tempo all’insegna dell’incertezza. Durante gli anni ’90 la Russia è stata sottoposta ad un processo di completa omologazione al modello capitalista, spesso in duro contrasto con le esigenze della popolazione: l’economia è stata brutalmente privatizzata ed è finita in mano talora a speculatori occidentali, talora a uomini senza scrupoli che sono poi diventati gli oligarchi della Russia odierna. In quel periodo si è parlato perfino di un ingresso della Russia nella NATO. Con il nuovo millennio, però, Vladimir Putin, impostosi alla guida del Paese col sostegno di gran parte degli oligarchi, ha impresso un orientamento diverso: la Russia, in virtù della propria forza militare, avrebbe dovuto diventare un attore internazionale capace di trattare alla pari con gli USA, naturalmente non più come campione di un diverso sistema politico e sociale, ma per pura politica di potenza.
Da allora la Russia ha giocato sullo scacchiere internazionale una partita propria, distinta dagli interessi americani sebbene sempre fedele a quelli dei capitalisti. Lo ha fatto prima cercando l’appoggio dei Paesi europei e, più di recente, volgendosi verso la Cina.
Ad oggi, la Russia rimane un fondamentale fornitore del gas e del petrolio che fanno andare avanti noi europei, motivo per cui alcuni Paesi, soprattutto Italia e Germania, mantengono buoni rapporti con il governo di Putin; tuttavia, nelle situazioni di crisi, prevale la fedeltà atlantica verso gli USA.
L’UCRAINA TRA UE E RUSSIA
L’Ucraina è il Paese, da un punto di vista geografico, più orientale d’Europa. Da sempre strettamente legata alla Russia (la stessa capitale Kiev riveste un ruolo centrale nella storia russa), fino al 1991 è stata una delle repubbliche costitutive dell’Unione Sovietica. Vi convivono due nazionalità: quella ucraina e quella russa, che rappresenta circa un sesto della popolazione ma è largamente maggioritaria nelle regioni di Doneck e Lugansk (che insieme formano il Donbass) e nella penisola della Crimea.
Una questione centrale della politica ucraina dopo l’indipendenza è stata la scelta tra l’alleanza con la Russia e l’allineamento all’Europa occidentale e, dopo l’allargamento a est dell’UE del 2004, è diventato d’attualità il tema dell’ingresso dell’Ucraina nell’unione.
Nel 2010 Viktor Janukovic, proveniente dal Donbass e contrario all’adesione all’UE, è stato eletto presidente dell’Ucraina, sconfiggendo Julija Tymoscenko che, invece, era favorevole. Da allora, tra governo russofilo ed opposizione eurofila, è iniziato un duro scontro (si ricordino le manifestazioni “euromaidan” del novembre 2013) e, nel 2014, Janukociv è fuggito lasciando il posto al neopresidente eurofilo Petro Poroscenko.
IL DISTACCO DI CRIMEA E DONBASS
Nella primavera del 2014 le regioni russofone della Crimea e del Donbass si sono distaccate dall’Ucraina, con destini, però, diversi.
In Crimea, il 26 febbraio dello stesso anno sono giunte truppe russe e, nella primavera, si è svolto un referendum in cui la popolazione, a maggioranza schiacciante (più del 95% con una partecipazione al voto superiore all’80%), ha espresso la volontà di aderire alla federazione russa. Da allora, la regione è effettivamente sotto amministrazione russa e, sebbene ciò avvenga contro il parere della NATO, i cui Paesi non riconoscono come valido il referendum, pure svoltosi sotto vigilanza di osservatori internazionali, nessuno ha più messo in discussione lo status della penisola.
Le regioni del Donbass, invece, hanno preso una diversa e più sanguinosa strada. Nel marzo 2014, infatti, si sono svolte grandi manifestazioni contro il governo di Poroscenko: i manifestanti non lo riconoscevano e chiedevano che l’Ucraina divenisse uno stato federale, temendo che, con l’avvicinamento all’UE, questo fosse necessario affinché i russi d’Ucraina potessero mantenere la loro autonomia culturale. In seguito al deciso rigetto delle loro richieste, il 6 aprile i manifestanti hanno occupato i palazzi governativi e proclamato l’indipendenza, sotto forma di repubblica popolare di Doneck e repubblica popolare di Lugansk. Nelle due nuove repubbliche si è svolto, l’11 maggio, un referendum per l’indipendenza, che è stato approvato con lo stesso sostegno registrato nel referendum in Crimea.
In questo contesto nel luglio del 2015 il Partito Comunista ucraino, che aveva nel paese un consenso consistente (13% dei voti alle ultime elezioni dell’Ucraina unita) e che era il solo partito politico a contestare tanto la politica di potenza russa quanto quella della NATO, è stato messo fuorilegge.
LA GUERRA DEL DONBASS
Le due nuove autoproclamate repubbliche non hanno chiesto di aderire alla federazione russa, diversamente da quanto avvenuto in Crimea, e, sebbene la Russia le abbia sostenute fin dall’inizio, non le ha mai riconosciute ufficialmente.
A partire dalla proclamazione dell’indipendenza, in Donbass è in atto un feroce conflitto tra gli indipendentisti e il governo di Kiev. I primi godono in qualche misura del sostegno della Russia: il governo di Putin, infatti, ritiene utile il conflitto poiché gli garantisce una posizione di maggiore forza nella difficile situazione internazionale. Il secondo è, invece, direttamente, apertamente e massicciamente appoggiato dalla NATO e dall’UE, che, nel contesto ucraino, hanno messo in atto il più grande dispiegamento di forze militari in Europa dalla fine della guerra fredda, con la costruzione di installazioni militari e l’invio di truppe non solo in Ucraina, ma lungo tutto il confine russo, da Tallin a Kiev.
La posizione dell’UE sulla guerra è particolarmente scandalosa, non tanto per la scelta dello schieramento che è altamente discutibile ma non certo sorprendente, quanto per due ulteriori motivi: innanzitutto, ha promosso e talvolta imposto una propaganda falsa, che ha coperto sistematicamente le malefatte del governo di Kiev e dipinto gli indipendentisti come semplici burattini di Mosca, senza mai concedere spazio alle loro rivendicazioni; in secondo luogo, non ha mai, nemmeno per finta, cercato la pace.
I NAZISTI E IL CONFLITTO
Vi è un altro aspetto del conflitto in Ucraina, quello con cui abbiamo iniziato: la compromissione del fronte filoeuropeo con i nazisti ucraini. Fin dall’inizio della guerra, l’esercito ucraino è stato affiancato da formazioni paramilitari di esplicito orientamento nazista votate alla guerra contro gli indipendentisti, definiti neo-sovietici (in effetti, le due autoproclamate repubbliche fanno appello al passato sovietico della regione, adottano un sistema politico vagamente ispirato a quello precedente il 1991 e godono del sostegno di molta parte della sinistra internazionale). Queste formazioni sono “il braccio armato” di diversi partiti che, fino al 2017, sono stati alleati di governo di Poroscenko. Quando la commissione europea, negli anni, si è riferita al “governo democratico dell’Ucraina” si riferiva anche a loro.
Dal 2017, i nazisti non sono più parte della maggioranza al parlamento di Kiev, ma continuano a combattere. Non solo: ricevono anche cospicui aiuti da Kiev e dai suoi alleati, e dispongono di divisioni corazzate e di un ragguardevole equipaggiamento militare.
Quest’anno, l’Ucraina ha eletto il successore di Poroscenko, Vladimir Zelenkij, ex comico che ha stravinto le elezioni promettendo la fine della guerra. Appena eletto, ha deciso, d’accordo con i suoi alleati nel Paese e all’estero, di continuare la guerra.