Lo Yemen è un paese quasi sconosciuto a noi occidentali, prevalentemente desertico, poco popolato e poverissimo. A noi italiani è noto principalmente perché lì Pasolini girò parte de Il decameron, oltre a un cortometraggio documentario sulle mura dell’antichissima capitale Sana’a. Agli yemeniti, invece, l’Italia è nota perché “made in Italy” sta scritto su molte delle bombe che li massacrano tutti i giorni da quattro anni. Infatti, altrettanto misconosciuta è la guerra che lì si combatte ininterrottamente dal 2015: il silenzio dei media su di essa, intervallato solo da brevi servizi dei TG in corrispondenza delle offensive più brutali, è vergognoso.
ANTEFATTI
Lo Yemen si trova nella parte più meridionale della penisola araba, inserito in un contesto geopolitico difficilissimo: confina con due monarchie assolute, l’Oman e la potentissima Arabia Saudita; dista pochi chilometri dalla Somalia, dilaniata da un’ultradecennale guerra civile; occupa una posizione strategica, all’imbocco del Mar rosso, che lo rende preda degli interessi di tutte le maggiori potenze; infine, è un paese costiero affacciato sul mare che più di tutti nel mondo è infestato dalla pirateria.
Ex colonia britannica, fino al 1990 era diviso in due stati: un regime militare a nord e uno stato socialista a sud.
Lo Yemen del nord, originariamente una federazione di monarchie assolute, divenne repubblicano in seguito all’esito di una guerra civile combattuta tra il 1962 e il 1967, nella quale le forze repubblicane, appoggiate dalla repubblica araba unita (Egitto e Siria) e guidate da Nasser, ebbero la meglio su quelle monarchiche appoggiate da Arabia saudita e Giordania. Nel 1978 giunse al potere ‘Ali ‘Abd Allah Saleh, uomo autoritario e personaggio centrale nella politica del paese per i successivi quarant’anni.
Lo Yemen del sud ebbe una storia travagliata, subendo l’embargo dei paesi vicini e, più volte, bombardamenti (anche britannici, nel 1972) e vivendo gravi instabilità istituzionali. Condusse inoltre una politica interna piuttosto originale, in ragione della particolarità di essere l’unico stato islamico socialista. Nel 1990 i due stati yemeniti si riunificarono pacificamente sotto la guida di Saleh, il cui governo soffocò militarmente un tentativo di ripristino del regime meridionale nel 1994.
Nemmeno in seguito lo Yemen, perseguitato da uno stato di miseria cronica, conobbe la pace: dal 2004 iniziarono ripetuti scontri con il movimento armato degli Huthi, allineati all’Iran.
Ad oggi, Iran e Arabia Saudita sono i due paesi leader nel Medio Oriente. Sono avversari nella lotta al potere e l’Arabia Saudita è l’alleato di riferimento degli USA. Lo Yemen è diventato uno dei principali teatri dello scontro tra questi due schieramenti, scontro che è la chiave di lettura di tutte le vicende che, in questo periodo storico, interessano la regione.
L’INIZIO DEL CONFLITTO
Nel 2011, i paesi arabi furono attraversati dalle primavere arabe, un’ondata di rivolte che ebbero gli esiti più disparati nei vari paesi. In Yemen, essa determinò un vistoso indebolimento del regime di Saleh: i Paesi alleati, in particolare l’Arabia Saudita, non lo ritenevano più in grado di garantire un regime stabile a causa della sua manifesta impopolarità (soprattutto in seguito alla decisione di far sparare sulla folla dei manifestanti). Di conseguenza, Saleh decise di abbandonare la presidenza in favore del suo vice, Hadi, che fu protagonista nel 2012 di elezioni a candidato unico non riconosciute dagli Huthi. Nonostante l’abdicazione, Saleh mantenne un enorme potere nel paese fino alla morte, avvenuta il 4 dicembre 2017 per mano degli Huthi.
Da quel momento, le forze a lui fedeli furono protagoniste di due mutamenti di fronte: se in un primo momento furono leali al governo di Sana’a, successivamente decisero di allearsi con i ribelli Huthi, per poi voltare nuovamente le spalle a questi ultimi nella primavera del 2017.
Gli scontri armati in Yemen, dunque, non sono mai cessati dal 2011, e sono sfociati in una guerra aperta nel 2015 a causa del massiccio intervento dell’Arabia Saudita, che si è avvalsa di bombardamenti e dispiegamento di forze di terra (circa 150.000 unità).
LA SITUAZIONE E LE RESPONSABILITA’
In questo complesso quadro, più che seguire l’inestricabile trama del conflitto, è utile individuare gli attori principali: da una parte abbiamo lo schieramento degli Huthi con le forze coalizzate, che gode dell’appoggio iraniano; dall’altra parte quello del governo di Hadi, che gode di un vastissimo sostegno internazionale da parte di diversi Paesi arabi, dell’Arabia Saudita, degli USA e di altri paesi come Turchia, Canada e Francia. Sul territorio è presente inoltre una sezione di Al-Qaeda, che non è ufficialmente indicata come alleata del secondo schieramento sebbene non sia possibile ignorare gli stretti legami storici ed economici che essa intrattiene con le petromonarchie del golfo.
La situazione caotica dello Yemen rende difficilissimo individuare chi siano i “buoni”, tuttavia, occorre fare una riflessione sulle responsabilità dell’occidente. Nel Paese sono infatti coinvolte truppe NATO, alleanza militare a cui appartiene anche l’Italia.
Innanzitutto, gli interventi occidentali avvengono senza alcun mandato ONU, il che li qualificherebbe come illegali (nella logica perversa secondo cui vi sono guerre legali e illegali). In particolare, durante la prima fase del conflitto gli USA hanno mantenuto il segreto sulle loro operazioni.
In secondo luogo, la ferocia sprigionata dall’Arabia Saudita e dai suoi alleati, che fanno uso sistematico di bombardamenti sui civili, è spaventosa, e, sebbene spaventosa sia la guerra in sé, è vergognoso che l’occidente si schieri al suo fianco.
Vi è poi un aspetto che ci riguarda da vicino: la provenienza delle armi usate dal regime saudita è prevalentemente occidentale e in specie italiana. Questo è balzato agli onori della cronaca quando, a inizio anno, i lavoratori del porto di Genova hanno impedito l’imbarco di armi italiane destinate al conflitto in Yemen. È quindi chiaro che, in un conflitto così sanguinoso, gran parte della responsabilità pesa sulle spalle delle aziende europee ed italiane.
Infine, l’aspetto che denuncia la più pesante responsabilità occidentale, è il silenzio assordante che circonda la guerra. Tra la vastità delle sofferenze del popolo yemenita (una stima del numero degli sfollati compiuta dall’ONU ne conta oltre tre milioni) e la copertura mediatica che esse ricevono non c’è proporzione. Di fronte a un paese intero devastato per anni con armi prodotte in Italia e in altri paesi occidentali (con conseguenti immensi profitti per i padroni delle fabbriche belliche), di fronte al consenso dei paesi alleati senza che nessun dibattito democratico sia stato aperto sull’argomento, ebbene di fronte a tutto questo le telecamere e le televisioni si spengono. E, spiace dirlo, ma l’unica ragione di questa indifferenza è il fatto che lo Yemen è un paese povero, debole e arabo, vittima di un silenzio insopportabile a cui non si può non ribellarsi