Parlare di malattie è sempre complicato, nel mondo mediatizzato che viviamo oggi, perché la malattia non ha un volto riconoscibile. A differenza di un attentatore terroristico, che in linea teorica, può sempre essere catturato e fotosegnalato, un virus non ha volto. L’unica immagine disponibile è la visione al microscopio di qualcosa che ricorda una pallina da golf con dei bozzi attorno, nulla di più.
Questo è stato evidentemente il primo problema per le redazioni giornalistiche. Il 30 gennaio il sito Open di Mentana ha mostrato un video dove si vedono i primi due turisti cinesi contagiati a Roma all’interno di un’ambulanza, senza alcuna censura del loro volto. Una scelta che ha sollevato molte polemiche, anche perché da lì è partito l’insensato
boicottaggio dei locali cinesi, per non parlare degli insulti e dei pestaggi. Questa scelta di mostrare il corpo delle persone ha fatto capire in maniera improvvisa a tutti di
cosa stavamo parlando: appunto, del corpo umano. Ci si mette la mascherina sul viso, ci si lava le mani, si bloccano spostamenti fisici, insomma, per contenere il contagio si sta limitando il corpo umano.
Queste scelte rivelano la profonda ignoranza che ormai avvolge la persona intorno alla questione del proprio corpo. La cura del corpo è ormai delegata alla frequentazione di palestre, centri benessere, ospedali, luoghi che si occupano del corpo in maniera anonima, come se ogni corpo valesse allo stesso modo: non si è più in grado di ascoltare il proprio corpo, di capire come ci si sente.
Eppure l’informazione giornalistica si ostina a presentare il problema del Coronavirus in termini di bollettini medici, 40 morti oggi, 10 ieri. Non c’è alcuna riflessione su come ogni paziente ha vissuto la propria vita, su come ha mangiato, cosa ha respirato, quanto ha camminato o viaggiato. Eppure è evidente a tutti, che ogni cosa che facciamo si ripercuote sul nostro corpo.
Il corpo è una fonte giornalistica primaria: se non ci fosse un corpo, non potremmo certo vedere le ferite provocate da un’epidemia , come pure da un pestaggio della polizia.
Eppure in questo momento il corpo al momento del contagio non viene più fatto vedere: viene nascosto in qualche casa od ospedale, costretto a respirare artificialmente, e quando muore va praticamente nell’oblio. Nessuno vuole vedere il corpo, perché ricorda come niente altro la caducità dell’esperienzaumana.
Certo, nemmeno di difese immunitarie si sta parlando in questo momento, se non per qualche pubblicità di integratori che sempre più spesso vedo comparire su giornali e telegiornali. Il legame tra umore e difese immunitarie è stato spesso trascurato, ma getterebbe una nuova luce su cosa possono produrre sentimenti negativi, come l’angoscia, provocati dall’isteria massmediatica.
In questo periodo i media hanno dato una prova molto grave, dal punto di vista giornalistico ( a parte lodevoli eccezioni come il Post o Valigiablu): hanno diffuso la bozza di un decreto del Presidente del Consiglio prima della sua ufficializzazione, provocando scene di fuga collettiva alla stazione centrale di Milano. Dietro questa scelta scriteriata, c’è un ragionamento molto curioso: cioè che il governo fosse l’unico soggetto capace di contenere l’epidemia, e come tale avrebbe dovuto adottare risposte immediate, fulminee, come se dovesse battere nel tempo il virus.
Questo rivela una scarsissima fiducia da parte dei media nei confronti dei cittadini, che vengono sempre giudicati incapaci di risposte autonome e immediate. Basterebbe però ricordarsi dei cinesi che hanno scelto in massa la quarantena volontaria a Prato, per avere un minimo di fiducia nella capacità delle persone di autogestire il proprio corpo.
Ma è chiaro che per autogestire il proprio corpo è necessario conoscerlo, e l’informazione in questo senso non credo possa insegnare qualcosa. Se il mondo del giornalismo conoscesse un po’ di più il mondo del corpo, comincerebbe ad alzare l’umore delle persone, non ad abbassarlo.
Fabian Naressi
Fabian Naressi, 1995. Studia Giornalismo e cultura editoriale all'Università degli studi di Parma. Gli piace ficcare il naso alla ricerca di complotti.