Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato (costituzione italiana, articolo 27)
Tra il 7 e il 9 marzo le carceri italiane sono state attraversate da un’ondata di rivolte e tredici detenuti sono morti durante i fatti, di cui sei a Modena. In questi giorni di epidemia tutti sperimentiamo in qualche misura la sensazione della reclusione: passiamo le giornate il più possibile in casa, sappiamo che le uscite sono strettamente regolate e che se infrangessimo queste regole saremmo severamente sanzionati. I carcerati sperimentano, talora da anni, tutti i giorni la reclusione, quella vera, enormemente più tragica e oppressiva. Forse è più facile empatizzare con i prigionieri in questi momenti, e senz’altro bisogna prestare attenzione a quello che è accaduto.
Nelle case degli italiani le notizie sulla situazione critica delle carceri italiane in relazione all’epidemia sono arrivate dai telegiornali il 7 marzo, con l’annuncio delle prime agitazioni, e sono sparite due giorni dopo. La stampa ha dato resoconti frammentari che non hanno permesso al pubblico di comprendere a fondo le ragioni dei detenuti. Proviamo a descrivere gli avvenimenti in modo più serio, spiegando perché le rivolte ci sono state e cosa è avvenuto dopo.
CONTESTO
Com’è noto, le carceri italiane sono un luogo infernale. Certo, il sistema penitenziario nazionale possiede anche alcune strutture più vivibili e organizzate per il necessario supporto alla rieducazione e al reinserimento dei prigionieri nella società, tuttavia questa non è per nulla la situazione normale. In Italia vi sono più di 61.000 detenuti rinchiusi in carceri che ne potrebbero ospitare al massimo 47.000. Il tasso di suicidi tra i detenuti è altissimo – nel 2018 si sono tolti la vita in 67, i tentativi di suicidio sono stati 1.197 e gli atti di autolesionismo 10.368 – ed è doppio tra i carcerati stranieri rispetto a quelli italiani. La condizione dei detenuti stranieri è infatti particolarmente difficile, provate a immaginare: siete in un paese di cui non parlate la lingua, rinchiusi in carcere magari per piccolo spaccio o furto, poveri, il vostro avvocato vi è stato assegnato d’ufficio e magari non vi ha affatto difeso, nessuno vi viene a trovare e vi tolgono il cellulare (su questo torneremo), non parlate con nessuno.
LE VIOLENZE SUI DETENUTI
Nelle carceri italiane avvengono regolarmente episodi di feroce violenza proprio da parte di agenti della penitenziaria nei confronti dei detenuti, come pestaggi, insulti, torture. Nelle carceri di Ivrea, Viterbo e Sollicciano (FI) in particolare dove l’associazione Antigone ha riscontrato fatti di gravità tale da individuare questi istituti come prigioni particolarmente punitive, tuttavia episodi analoghi sono attestati in molte altre strutture, senza considerare le difficoltà nel denunciarli in considerazione dell’opacità dei circuiti di prigionia.
Va aggiunto che anche le guardie carcerarie sono sottoposte a uno stress fortissimo, e accade spesso in Italia che anche tra loro vi siano dei suicidi; inoltre l’organico del personale carcerario sia civile sia di polizia è largamente sottodimensionato e questo rende più difficile la gestione delle strutture, portando ad una certa esasperazione. Tuttavia tra gli agenti della penitenziaria sono pure diffusi razzismo, attitudine violenta, desiderio di sfogo delle frustrazioni sui carcerati, come testimoniato da detenuti ed ex-detenuti, e questi atteggiamenti trovano sostegno in una certa opinione pubblica e in alcune organizzazioni teoricamente sindacali come il SAPPE (un sindacato autonomo della penitenziaria). Proprio il SAPPE scriveva a novembre scandalizzato che “i detenuti arrivano a chiamare il 112 dalla camera detentiva con telefonini di cui illegittimamente sono in possesso”. Ci domandiamo noi: è più grave che uno abbia il cellulare in carcere o che dei carcerati siano talmente vessati da chiamare i carabinieri?
LE RAGIONI DELLE RIVOLTE
In seguito all’arrivo in Italia del coronavirus molti soggetti politici e associativi hanno rivolto al ministero della giustizia un appello affinché fossero prese misure a tutela della popolazione detenuta: in una situazione di sovraffollamento, considerando che la metà dei carcerati ha tra i 40 e gli 80 anni (fasce di età particolarmente a rischio) e il 70% di loro soffre di malattie croniche che compromettono l’efficacia del sistema immunitario, sarebbe stato impossibile garantire le misure di sicurezza necessarie. L’appello – pubblicato il 4 marzo nel silenzio generale dei media – chiedeva dunque la sospensione della pena per i detenuti a rischio. È una cosa che per esempio ha fatto l’Iran, che pure non è precisamente il paese più libertario.
Il 6 marzo il “fatto quotidiano” riportava che il ministero aveva disposto il blocco dei trasferimenti di detenuti tra le carceri e il divieto di accesso dei volontari e aveva concesso alle direzioni periferiche di vietare i colloqui con i carcerati e “sostituirli con chiamate skype”. L’associazione Antigone chiedeva che ai prigionieri fosse concesso l’uso del telefonino per 20 minuti al giorno. Il problema delle comunicazioni richiede una spiegazione: ai carcerati in Italia è vietato l’uso di telefoni e internet, per cui quando il giorno dopo la misura è stata applicata essi non hanno più potuto ricevere visite ma nemmeno comunicare al telefono o via internet, l’uso dei quali è stato invece concesso solo alcuni giorni dopo le rivolte. Inoltre è sì vero che l’interruzione dei colloqui chiudeva un potenziale canale di ingresso del virus nelle carceri, tuttavia rimaneva aperto un altro canale: quello degli ingressi di agenti della penitenziaria e personale civile, cui non erano imposte misure di sicurezza, cosa oltretutto rischiosa anche per gli agenti stessi. Non era disposta nemmeno la sanificazione degli ambienti. L’articolo citato descrive le misure prese come “provvedimenti ragionevoli che gli stessi detenuti sembrano comprendere e non ostacolare”, questo il giorno prima di una rivolta su scala nazionale. Complimenti al “fatto”.
LE RIVOLTE DEL 7-9 MARZO
Tra il 7 e il 9 marzo l’esasperazione dei detenuti per le nuove imposizioni, giudicate non foriere di maggiore sicurezza e maggiormente repressive, si è sommata a quella per la situazione critica preesistente ed è esplosa in rivolte in tutto il paese in diverse forme: a Foggia evasioni, a Salerno in 200 hanno raggiunto il tetto e hanno dato fuoco ad alcuni reparti (dare fuoco ai materassi è un mezzo classico delle rivolte carcerarie, serve a far sapere al di fuori cosa succede visto che spesso questi fatti non giungono all’opinione pubblica), a Frosinone scavalcamento dei muri interni (non quelli di cinta), a Poggioreale (NA) e Carinola (CE) interruzioni delle attività delle prigioni, dimostrazioni in tutt’Italia e, soprattutto, a Modena dove i prigionieri sono riusciti ad occupare le aree comuni e la portineria. Qui gli agenti di custodia e il resto del personale sono usciti (in due leggermente feriti) e, dopo l’intervento della polizia per sedare la rivolta, è stato annunciato il decesso di sei detenuti. Sulle cause delle morti gli organi di informazione non sono chiari, si parla di intossicazione da farmaci presi in infermeria, lasciando intendere che detenuti tossicodipendenti abbiano approfittato della rivolta per imbottirsi di pasticche. Tuttavia l’opacità delle istituzioni penitenziarie non consente una conoscenza più precisa dei fatti. Non è possibile nemmeno sapere con esattezza quanti siano i morti: le fonti oscillano tra i 13 e i 14.
Dopo le rivolte il ministero ha concesso, come accennato, l’uso di telefoni e internet in luogo dei colloqui interrotti; misure di contenimento del contagio nelle carceri sono state prese solo a partire dal 14 marzo consentendo in tutto 200 sospensioni di pena. Almeno 15 casi di coronavirus in carcere si sono effettivamente verificati e il 2 aprile a Bologna uno dei carcerati contagiati è morto. I carcerati sono però rimasti nella loro tragica situazione e, quel che è peggio, sono tornati nel silenzio dell’indifferenza cui per un paio di giorni i media, comunque quasi sempre ostili ed approssimativi, li avevano sottratti.
Per approfondire, suggeriamo sulla situazione generale delle carceri l’ultimo rapporto dell’associazione Antigone consultabile al sito http://www.antigone.it/quindicesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/ e, sulle ultime misure prese in materia, l’articolo del manifesto https://ilmanifesto.it/carcere-lacqua-fresca-di-bonafede-per-arginare-lemergenza-in-cella/