“ L’ecosistema sta collassando, siamo all’inizio di un’estinzione di massa, e tutto ciò di cui voi parlate sono soldi, favole e crescita economica.”

(Greta Thunberg)

24 Settembre 2019: Greta Thunberg, la giovane attivista per il clima, si è rivolta alle Nazioni Unite con questa frase, sottolineando implicitamente (e più o meno consapevolmente) l’esistenza di due completamente diverse narrazioni sul tema del climate change.

Da una parte, la prospettiva negazionista, secondo la quale i cambiamenti climatici non sarebbero altro che l’ennesimo stadio evolutivo dell’ecosistema terrestre, capace per natura di adattarsi alle trasformazioni in atto. Secondo questa prospettiva non esiste nessuna contrapposizione tra crescita economica ed ambiente.

Dall’altra, quella secondo cui questa contrapposizione è evidentemente stata dimostrata dai fatti recenti, da cui la necessità di ripensare il sistema produttivo in un’ottica di riconversione ecologica e sostenibilità ambientale.

Il distinguo tra queste due visioni è rappresentato da una diversa concezione filosofica del mercato: da una parte chi, fideisticamente, crede nella sua propria funzione distributiva come strumento di allocazione dinamica delle risorse, intrinsecamente capace di endogenizzare i vincoli ambientali nel processo di generazione della produzione e della crescita tramite la messa a valore delle risorse naturali; dall’altra chi, nella convinzione che questi vincoli non possano che essere trascurati da qualunque impresa o nazione si trovi a massimizzare le proprie prospettive di crescita, semplicemente crede nell’impraticabilità di tale soluzione. Infatti, se è vero che i rischi correlati ad uno scellerato sfruttamento dell’ambiente sono condivisi da tutti i cittadini del mondo nella stessa proporzione (abbiamo, cioè, più o meno tutti la stessa probabilità di morire a causa del climate change), non può certo dirsi lo stesso per i profitti o per la produzione. Ed è proprio a causa di questa sproporzione nella suddivisione di costi e benefici che nasce l’incentivo a trascurarne gli effetti di costrizione sui piani di crescita e produzione di aziende e nazioni di tutto il mondo. 

Non è certo un caso che i principali esponenti della teoria negazionista dei cambiamenti climatici siano Trump e Bolsonaro, due presidenti che, nei rispettivi contesti, sono sempre stati appoggiati dalla grande industria, per niente intenzionata a rivedere i propri piani di crescita internalizzando vincoli ambientali che, ancora una volta, condividono nella stessa proporzione con ciascuno di noi. 

A questa e altre domande tenteremo di dare una risposta nella prosecuzione di questa rubrica intitolata “Capitalismo e ambiente: di cosa si tratta?”, cercando di analizzare il più scientificamente possibile alcune delle questioni più spinose ed urgenti del dibattito politico ambientale ed evidenziando i nessi causali fra sviluppo economico capitalistico e sfruttamento delle risorse naturali.