In un precedente articolo, due settimane fa, abbiamo trattato il conflitto in corso in Libia. Oggi, sempre parlando della Libia, ci concentriamo più specificamente sulla prigionia dei migranti in transito verso l’Europa. La guerra in Libia coinvolge, infatti, i destini di innumerevoli migranti provenienti dai più poveri paesi africani che, nel loro lunghissimo tragitto, diventano facile preda delle milizie che imperversano in quelle zone e vittime del regime di carcerazione di massa che i paesi europei predispongono per loro nel disastrato territorio libico.
LE ORIGINI DEL DRAMMA
Come avevamo scritto, l’Italia ha avuto con la Libia, durante la dittatura di Gheddafi, una relazione privilegiata, soprattutto durante gli ultimi anni del regime. Berlusconi, difatti, era in ottimi rapporti con Gheddafi e questo è stato determinante per la firma, nell’estate del 2008, di un accordo in virtù del quale l’Italia ha pagato alla Libia cinque miliardi di euro, ottenendo in cambio che essa trattenesse gli immigrati provenienti da paesi dell’Africa subsahariana che tentavano di raggiungere l’Italia. In questo modo, proprio l’Italia ha promosso la creazione di campi di concentramento per immigrati sul suolo libico, inaugurando così una una prassi (basti pensare agli analoghi accordi tra UE e Turchia conclusi nella primavera del 2016).
Nel 2008, in Italia, il governo di centrodestra, guidato da Berlusconi in alleanza con la lega nord di Bossi, conduceva una campagna molto simile a quella promossa oggi dalla lega di Salvini, con due differenze: da una parte produceva effetti meno disastrosi, perché essendo agli inizi non aveva ancora fatto breccia in tante coscienze; dall’altra procedeva con maggior vigore, vista l’opposizione meno organizzata, la maggiore accondiscendenza della Chiesa e l’approccio più accomodante della stampa nei confronti di questo tipo di politiche discriminatorie.
Il dibattito sulle politiche migratorie e sulla crisi economica, che proprio allora era in fase di esplosione, è stato, tuttavia, accantonato dai palinsesti televisivi a favore di servizi riguardanti la scandalosa e largamente illegale vita sessuale del Presidente del Consiglio.
LA LIBIA NEL CAOS
Nel 2011 arriva la svolta: la guerra in Libia abbatte la dittatura di Gheddafi e, nell’autunno dello stesso anno, il governo Berlusconi, incapace di far fronte ai drammatici problemi economici e sociali del paese e chiaramente impopolare, cade.
La Libia ha continuato, naturalmente, a essere un paese di transito per gli immigrati che dai paesi africani tentavano di raggiungere l’Europa. Costoro, spinti dalla perdurante crisi economica, erano sempre di più, e, inoltre, dovevano affrontare il loro viaggio in una situazione ancora più drammatica. Il territorio libico, infatti, era divenuto, ed è tutt’oggi, preda delle più diverse bande di razziatori e di innumerevoli milizie, da quelle dell’ISIS alle truppe dei due principali contendenti al potere, Al-Serraj e Haftar. Di conseguenza, i migranti, indifesi e deboli, sono diventati vittime di crimini di ogni genere, dalla riduzione in schiavitù al rapimento, dalle rapine alle uccisioni sommarie. Il peggio, tuttavia, doveva ancora venire; infatti, non appena in Libia si è affermata una combinazione di poteri (tra governo e guardia costiera) sufficiente a controllare almeno parzialmente le coste, è stato possibile utilizzare nuovamente i migranti come merce di scambio con l’Occidente, che ovviamente non ha perso l’occasione.
I NUOVI ACCORDI CON LA LIBIA
Infatti, il cinismo occidentale non si era certo arrestato di fronte ai massacri: i governi dei paesi europei, di fronte ai problemi scaturiti dalle ondate migratorie, non hanno intrapreso assolutamente alcuna azione di riduzione degli squilibri macroeconomici che le determinavano, anzi, hanno agito proprio al contrario. Per la precisione, sono state messe in campo tre azioni politiche: da una parte, politiche di integrazione degli immigrati assolutamente insufficienti e generalmente limitate all’accoglienza (il governo tedesco si impegnò più di altri in questo, senza tuttavia farlo con sufficiente determinazione); dall’altra, dispiegamento di truppe armate nei paesi di transito come Niger e Ciad; infine, respingimento dei migranti dai confini o loro reclusione in campi di concentramento.
Nel 2016, sono stati raggiunti accordi con la Turchia in questo senso, e, nell’agosto dello stesso anno, Angela Merkel, Matteo Renzi e Francois Hollande hanno dichiarato a Ventotene che in Europa erano benvenuti i profughi di guerra, ma non i migranti economici. Secondo loro, dunque, chi fuggiva dal proprio Paese perché minacciato dalle armi avrebbe avuto diritto di essere messo in salvo, chi invece cercava di non morire di fame no. Appare evidente l’assoluta inciviltà di questa dichiarazione, che non a caso è stata successivamente ripresa dalla destra.
Il 3 febbraio del 2017, il governo Gentiloni, nella persona del ministro Minniti, ha sottoscritto un accordo col governo di Al-Serraj del tutto simile a quelli conclusi tra Berlusconi e Gheddafi nel 2008: in questo caso, la merce di scambio che il governo italiano ha barattato con l’impegno libico a trattenere i migranti è stata una partita di motovedette (giusto per mantenere l’imperitura tradizione di vendere armi ai paesi dove è in corso una guerra civile).
I due governi italiani degli anni successivi non hanno mai disdetto quegli accordi.
Le tragiche condizioni di detenzione dei migranti in Libia hanno destato grande scandalo nell’autunno del 2017 e nell’anno successivo, sebbene, già nella primavera del 2017, un documentario andato in onda di notte a cura della redazione del tg1 avesse denunciato il fatto che la cosiddetta “guardia costiera libica”, destinataria degli armamenti inviati dall’Italia e responsabile del trattenimento dei migranti, fosse guidata da un individuo classificato dall’ONU come criminale di guerra e colpevole al di là di ogni dubbio di ogni tipo di crimine, dai traffici illegali di merci ed esseri umani alle più nefande crudeltà ai danni degli immigrati. Proprio quest’autunno, la stampa si è, per breve tempo, interessata nuovamente a questi fatti.
Oggi, in Italia, si fa strada un crescente sentimento nazionalista: molti declamano ad ogni occasione quanto siano orgogliosi della loro patria e quanto essa sia bistrattata da altre potenti nazioni e calpestata da stranieri. Ebbene, a costoro si deve rispondere che, se intendono andare fieri della loro nazione, essa deve cessare immediatamente di commettere i più vergognosi atti criminali ai danni dei più deboli, e che loro stessi, per non esserne complici, non devono accettare tali atrocità.
Noi, invece, che sappiamo quali nefandezze lo stato italiano compie ai danni di chi non può difendersi, non abbiamo bisogno di risposte, soltanto di combattere, ogni giorno, tali ingiustizie.